I social fanno male? Una riflessione sulla causa contro i social negli USA
I social media sono diventati parte integrante della nostra vita: ci fanno compagnia quando siamo solə, durante i pasti, li utilizziamo per colmare i silenzi, per raccontarci attraverso i contenuti degli altrə, inviando magari video o meme ad amicə in DM.
Negli ultimi anni si sono radicati nella nostra ruotine diventando strumenti di lavoro, piattaforme pubblicitarie e luogo di aggregazione online, contenitori della nostra identità, ma al di là dello schermo c’è molto di più di un semplice scroll: la nostra salute mentale.
Ed è proprio questo il centro di una maxi-causa in corso negli Stati Uniti contro Meta (Instagram e Facebook), TikTok, Snapchat e YouTube, accusate di aver nascosto informazioni interne sui rischi per la salute mentale degli adolescenti.
Secondo centinaia di distretti scolastici, procuratori generali e singoli individui, le piattaforme avrebbero progettato funzioni pensate per massimizzare il tempo online dei più giovani, consapevoli dei rischi che questo poteva comportare.
Cosa viene contestato alle piattaforme?
feed infiniti
notifiche notturne
filtri estetici che alterano il nostro aspetto
Tutte funzioni che, insieme, contribuirebbero alla crisi della salute mentale tra le giovani generazioni, lasciando scuole e famiglie a gestirne le conseguenze con servizi di counseling, supporto psicologico e risorse dedicate.
Venerdì 21 novembre è stato desecretato un documento di 235 pagine che raccoglie commenti interni, ricerche e testimonianze dei dipendenti delle piattaforme. Le citazioni selezionate, e riportate da un articolo della CNN sono molto forti.
Di seguito quella che mi ha colpito di più:
«IG (Instagram) è una droga… siamo praticamente degli spacciatori», hanno scritto dei ricercatori di Meta in una chat interna, secondo il documento.
In questo contesto, i portavoce di Meta, TikTok e Snapchat affermano che il documento offre un quadro fuorviante delle loro piattaforme e dei loro sforzi di sicurezza e quindi respingono questa narrazione.
Il rapporto tra giovani, tecnologia e salute mentale
Al di là della vicenda giudiziaria, questa storia ci parla di qualcosa che ci riguarda da vicino: il rapporto tra adolescenti e mondo digitale.
A chi spetta il compito di fornire alle giovani generazioni gli strumenti per difendersi dalla sovra-esposizione mediatica? È importante considerare che il confine tra intrattenimento e dipendenza è molto sottile. Chi di noi riuscirebbe a stare senza social per un mese?
Dal documento desecretato si legge anche che:
"Uno studio del 2019 che Meta aveva programmato di condurre con Nielsen, in cui si sarebbe chiesto a un gruppo di utenti di abbandonare Facebook e Instagram per un mese e registrare come si sentivano dopo. Ma dopo i “test pilota”, secondo cui le persone che sospendevano l’uso di Facebook anche solo per una settimana «riportavano livelli più bassi di depressione, ansia, solitudine e confronto sociale», Meta avrebbe interrotto il progetto.”
Cosa è ancora possibile fare in questa situazione?
Purtroppo non credo esista una risposta definitiva in un contesto mondiale in cui quasi il 70% della popolazione mondiale usa Internet e la maggior parte delle persone sopra i 10 anni possiede un cellulare. (Fonte Unesco)
Partire dall’educazione e dalla cittadinanza digitale e introdurre progetti che dimostrino che i social possono essere uno strumento di potere, creatività e partecipazione se sappiamo come usarli è sicuramente un buon punto di partenza.
Oggigiorno, infatti, il termine “alfabetizzazione” non basta più. Dovremmo piuttosto parlare di alfabetizzazione digitale, ed è importante che questo sia chiaro per tuttə noi.
In questo contesto, anche noi di Polymita abbiamo progettato un workshop per contribuire alla promozione di un uso positivo dei social.
Che questa vicenda si concluda con una condanna o con un’assoluzione, una cosa è già certa: la riflessione rimane aperta.

